Il primo, Ernesto Guevara, non ha bisogno di presentazioni; lui è il mito senza tempo che è stato fautore di tante rivoluzioni. Il secondo, Carlo Chionna, per chi ancora non lo conoscesse, è un brillante stilista, titolare delle due linee di abbigliamento “9.2” e “Carlo Chionna”.
Se di primo acchito, il paragone può sembrare un po’ azzardato, basta soffermarsi un attimo sulle loro biografie per scoprire che in realtà questi due personaggi sono spinti dalla stessa passione e dallo stesso spirito nel perseguire il successo delle proprie battaglie.
I primi semi della rivoluzione di Chionna infatti, mettono radici circa sei anni fa, quando già affermato imprenditore, si  accorge di come il “Made in Italy”, tra i brand più famosi e riconosciuti al mondo, subisca un fortissimo uso strumentale da parte di alcune aziende che si fanno vanto, a torto, della loro totale italianità. Convinto sostenitore dell’enorme valore della tradizione italiana soprattutto nel settore della moda, Carlo, che al contrario ha sempre realizzato interamente nel nostro Paese ogni singolo capo delle proprie linee, comincia così a firmare le proprie creazioni con una sigla piuttosto illuminante: DSMY, letteralmente “Dio Salvi il Made in ItalY”.
Nel 2008, quando di fronte al braccio di ferro della globalizzazione, la Comunità Europea cerca di trovarvi una soluzione ma riesce a concepire solo un rimedio miope, lo stilista bolognese resta inerme di fronte all’indifferenza dei media e del pubblico. Nasce infatti la legge 450, meglio conosciuta come “Legge del Made in”. Essa sancisce che un prodotto può avvalersi di tale dicitura se ha subito l’ultima trasformazione sostanziale nel Paese di origine del marchio, autorizzando così di fatto l’etichettatura “Made in Italy” a chiunque realizzi  in Italia solo il processo finale, pur riservando principalmente la produzione in un Paese extracomunitario.
Ciò che i giornali e che le grandi aziende, con la complicità della politica, cercano di celare è sicuramente un problema economico, visto il danno che la scelta di orientarsi verso i mercati altamente concorrenziali dei Paesi extracomunitari può creare a sfavore dell’occupazione nazionale, ma è anche una responsabilità sociale.  Questi Paesi, cercano di offrire i nostri stessi servizi ad un prezzo infinitamente più basso, in quanto completamente estranei alle leggi ambientali, ai diritti dei lavoratori e alle garanzie di non tossicità delle materie prime, solo per citarne alcune.  Di fatto, continuando ad assecondare questo sistema, ci si rende colpevoli della disoccupazione dei nostri figli e di abbandonare alla loro sorte di semi-schiavitù chi non ha abbastanza forza per potersi ribellare.
A partire dal 2010, il nostro eroe solitario trova il modo per farsi ascoltare. Da stravagante personaggio qual è, comincia ad ideare e a rendersi personalmente protagonista di controverse campagne pubblicitarie che lo vedono indossare i panni di alcune notissime figure storiche, iniziando dall’”Italico” Gladiatore, passando addirittura attraverso l’icona di Cristo pur di scuotere gli animi, finendo con Giuseppe Garibaldi. Ovviamente tutte le creatività sono accomunate da un unico messaggio: “Salvare il Made in Italy”.
Nonostante le mille polemiche, le difficoltà, i bastoni tra le ruote da parte di chi non ha interesse a  fare il bene del nostro Paese, Carlo Chionna continua caparbiamente a portare avanti la sua lotta ed anzi persegue nuovi obiettivi.
Grazie al recente incontro con Giuseppe Mazzarella, Presidente Nazionale della Confartigianato Moda, infatti, Carlo oggi ha un nuovo traguardo: educare il consumatore a tutelare le proprie scelte d’acquisto ed informarlo riguardo l’importanza della cosiddetta “100% Made in Italy”. Sconosciuta ai più, la legge166/2009, fortemente voluta dalla Confartigianato, sancisce che una merce per ottenere l’etichetta di 100% Made in Italy, deve necessariamente essere disegnata, progettata, lavorata e confezionata nel nostro Paese; inoltre  l’uso indebito di tale indicazione di vendita prevede una sanzione penale.
Fortunatamente, così come era successo al “Che”, a poco a poco arrivano i primi proseliti e  le dimostrazioni di appoggio e consenso diventano sempre più numerose. Man mano, con lui ci sono sempre più aziende a promuovere la filosofia del “fare le cose bene, per far del bene”.

Il rivoluzionario del Made in Italy non si arrende ed è deciso a portare avanti la sua lotta affinché ci sia la vittoria non solo della singola battaglia ma dell’intera guerra.

 

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